mercoledì 25 febbraio 2009

LA STAFFETTA UDI VISTA CON GLI OCCHI DI UNA SCRITTRICE

Abbiamo chiesto a Cristina Ricci di scriverci le sue impressioni sulla STAFFETTA DELLE DONNE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE.
Pubblichiamo qui il suo lavoro.Anche a Savona la Staffetta dell’Udi.

Sarà a Savona l’anfora partita da Niscemi il 25 novembre scorso e che attraverserà l’Italia fino a giungere a Brescia.

Lorena l’avrebbe vista partire e Hina arrivare.

Ora loro non ci sono più, massacrate di botte e uccise.

Uccise da clan, da gruppi perché anche per uccidere ci vuole coraggio. Ma i loro assassini quel coraggio non l’avevano. Dovevano essere gruppo.

Lorena, Hina e tante tante altre ora non ci sono più; ma ci siamo noi.

Noi a dire basta.

Noi per non dimenticare.

Noi per dire non lasciamo che accada più.

Noi che non possiamo lasciar stare perché siamo state, per ora, più fortunate.

Noi a ricordarle, con le loro semplici storie che sono anche la nostra.

 

Ciao, mi chiamo Lorena, volevo solo vivere la  mia sessualità liberamente.

Non so’ neanche perché in quel gruppo.

Non so’ neanche perché con quei ragazzi.

Non so’ neanche perché e non importa. Non cerco né ho mai cercato giustificazioni o perdono.

Mi hanno trascinata là, in quella cascina, mi ci hanno portata con l’inganno sapendo già cosa sarebbe stato di me.

Mi ci hanno portata come si portano oggetti vecchi, rotti, di cui ci vogliamo sbarazzare.

Mi ci hanno portata per lasciarmi là, oramai mi avevano usata, non servivo più.

Mi avevano usata, ed io e il mio forse bambino eravamo ormai solo un problema.

Mi avevano usata, ed io e il mio forse bambino eravamo ormai solo un ostacolo per la loro futura vita di uomini adulti.

Mi ci hanno portata là, in quella cascina, senza pensare alla mia futura vita di donna e al loro forse figlio.

La mia futura vita?

Non importava nulla a loro.

Mi ci hanno portata e lasciata in quella cascina.

Mi ci hanno portata e minacciata.

Mi ci hanno portata e massacrata di botte.

Mi ci hanno portata e insultata.

Mi ci hanno portata e presa a calci e pugni.

Mi ci hanno portata e lasciata moribonda.

Mi ci hanno portata e lasciata sofferente.

Mi ci hanno portata e lasciata: morta.

Morta.

 

Ciao mi chiamo Mara, volevo solo lavorare.

Volevo solo la mia indipendenza.

Volevo solo badare a me stessa senza dover chiedere niente a nessuno.

Ora lavoro, ho già in busta i primi scatti di anzianità.

Lavoro, ho la mia indipendenza, basto a me stessa

Perché la mia busta è inferiore all’ultimo assunto? Forse perché maschio?

 

Ciao, mi chiamo Kamila, ho solo pochi anni.

Ciao, mi chiamo Kamila, non so ancora scrivere.

Ciao, mi chiamo Kamila e posso ancora permettermi il lusso di giocare.

Ciao, mi chiamo Kamila ed oggi è la mia festa, così mi dicono.

E’ la mia festa, il giorno in cui diventerò perfetta come il mio nome.

Ciao, sono sempre Kamila. Anche se non capisco perché qui sul tavolo ci sia io e non un banchetto.

Sono Kamila e ho paura.

Sono Kamila  tenuta ferma.

Sono Kamila i miei occhi ruotano cercando di capire il perché del pugnale.

Sono Kamila e ora è solo dolore.

Dolore tra le mie cosce.

Le spine d’acacia mi trafiggono la carne.

Le mie gambe ora sono legate strette, resteranno così quaranta giorni.

Sono Kamila, il mio corpo ora sarà appetibile per un marito.

Appetibile per un uomo che crede che il modo migliore per scongiurare l’adulterio sia il mio dolore.

Appetibile per un uomo che dovrà lacerarmi la carne ogni volta che mi vorrà per sé.

Sono Kamila, dovrò subire la stessa tortura ogni volta che partorirò.

Ciao sono Kamila: non volevo essere perfetta.

 

Ciao, mi chiamo Core, volevo solo essere felice.

Mi ha corteggiata per mesi, mi ha riempito di fiori e di regali.

La marcia nuziale e le candele.

Volevo solo essere felice.

Ora sono incinta!

Ora sono felice!

“Ti ho scelto solo per il tuo utero!” Ora urla queste parole.

Ora urla.

Urla.

Io sono qui nell’angolo.

Sono qui sbattuta a terra dal ceffone.

Qualcosa di caldo cola lungo il labbro.

Sono qui sbattuta a terra dal ceffone.

Qualcosa macchia di rosso la mia camicetta.

Sono qui sbattuta a terra dal ceffone.

Volevo solo essere felice.

 

Ciao, mi chiamo Aisha  e vivo in Somalia.

Cammino sotto il sole. Il burka si trascina sul sentiero. La polvere si alza.

La polvere si alza quando cado in terra.

Si alza mentre mi tengono ferma e mi divincolo.

Si alza mentre loro si affannano su di me.

La polvere si alza.

Uno.

La polvere volteggia.

Due.

La polvere soffoca.

Tre.

Scrollo la polvere dai vestiti quando mi rialzo.

Con dolore torno a casa.

Ho tredici anni, il mondo cambia: lo so.

Ho tredici anni, il mondo cambia se lo vogliamo noi.

Il magistrato mi rassicura “Denuncia, non è colpa tua”.

La polvere si alza.

Ora sono allo stadio.

La polvere si alza.

Sono la protagonista della scena.

La polvere si alza.

Mi hanno stuprato.

Una.

La polvere volteggia.

Mi hanno giudicato colpevole

Due.

La polvere soffoca.

Hanno emesso la sentenza: lapidata a morte

Tre.

Le pietre volano e mi colpiscono.

Ciao mi chiamo Aisha, significa vita e prosperità.

Ciao mi chiamo Aisha, il mondo può cambiare ma non per me.

 

Ciao, mi chiamo Francesca. Vorrei essere libera.

Ciao, sono Francesca ho due figli.

Sono Francesca, non ci amiamo più.

Ho due figli e non un lavoro.

Vorrei essere libera, andare via.

Non ho un lavoro e ho due figli.

Resto.

Ciao, sono Francesca. La libertà è un lusso che non posso permettermi.

 

Ciao, mi chiamo Hina.

Mio padre viene da lontano.

Mio padre cerca qui il suo riscatto.

Mio padre vive in un paese europeo, lavora come un europeo ma cerca un riscatto orientale.

Mio padre vive come un europeo ma esige una figlia orientale.

Ciao, mi chiamo Hina.

Studio in Europa, vivo in Europa, mi sento europea.

Mio padre vive in Europa, io indosso i jeans: sono il suo disonore.

Mio padre vive in Europa, ho un ragazzo cattolico: sono la sua vergogna.

Mio padre vive in Europa, convivo con il mio fidanzato italiano: ferisco il suo orgoglio.

Ciao mi chiamo Hina: non sono più un vanto.

Ciao, mi chiamo Hina: nulla di me è restato se non qualche povero resto avvolto nella plastica e sepolto in giardino.

 

 

5 commenti:

Anonimo ha detto...

ancora due nomi da aggiungere alla lista; Elisabetta e Arianna, madre e figlia.
Lui le amava tanto, tantissimo. Di un amore così egoistico da non poter sopravvivere senza la figlia. E allora perchè ucciderla?
Ciao Arianna
Ciao Elisabetta
cri

Anonimo ha detto...

Ho paura che questa lista non finirà mai. Che diventerà più a della muraglia cinese. Che succederà ancora e ancora e ancora.
Perchè essere maschi in questo mondo, a nord a sud ad est come ad ovest è ancora un privilegio.
Un mio conosciente dice alla moglie quando ha desiderio:"Ven mo scià che te dovri" (Vieni qui che ti uso). Hanno circa 40 anni tutti e due. Lei si sente lusingata. Io schifata.

Anonimo ha detto...

fsdchopiufgbvb

Anonimo ha detto...

brava Cristina perchè hai trattato con parole adeguate e meravigliose un argomento tanto scabroso quanto schifoso (mi riferisco allo stupro)non si dovrebbe mai smettere di tenere alta la guardia e di parlarne, peerchè purtroppo e troppo spesso "passata la festa, gabbato lu santo" e troppo spesso vengono cercate attenuanti per il delinquente. Ivana

Anonimo ha detto...

in risposta ad Anna: è inquietante che una donna si lasci dire dal compagno:vieni che ti uso, perchè, a mio avviso, purtroppo, diventa persino un poco "complice" della cattiva interpretazione del sesso che ha quest'uomo (si fa per dire uomo) ed anche colpevole verso le altre donne appunto dell'opinione che lui evidentemente ne ha, DIGLIELO ANNA CHE C'E UN ALTRO MODO DI VIVERE IN DUE!!!!!iVANA